11 quasi-racconti brevi che sarebbero venuti meglio se…, Finzioni

1 – custodire la storia

custodire la storia, senza averne il coraggio
custodire la storia, senza averne il coraggio

glorificarla glorificarla
glorificarla glorificarla

attraverso il sangue
attraverso il sangue

glorificarla
glorificarla

… ripeteva tra sé e sé il ribelle QQQ mentre, machete in pugno e coltello tra i denti, si accingeva a entrare nella Suite Imperiale 333 dove il trentatreesimo Imperatore della dinastia dei K schiacciava il consueto pisolino pomeridiano. Alle sue spalle, a grandi falcate, accorrevano trecentotrentatré guardie del corpo imperiali, ognuna pronta a proprio modo (chi con sciabole chi con lance chi con alabarde) a staccare la testa all’ignaro traditore.

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11 quasi-racconti brevi che sarebbero venuti meglio se…, Finzioni

0 – ferito a morte

il vento caldo della sera porta con sé le voci dei prigionieri, lamenti pigri che fanno su e giù, su e giù, ancora su e giù; e insieme alla nenia solforosa del lamento il vento porta in dote i colori del metallo e dell’argento oltre che il miraggio delle profezie di chi è morto prima e di chi morirà poi…

il boia percorre a passo lento il lungo corridoio della prigione, poi si ferma di fronte alla cella 777. ferito a morte, – dice – è arrivato il tuo momento.

 

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Borderline, Finzioni

senza titolo #1

Ci sono cose che non puoi descrivere. Come questo momento; o come gli occhi di lei quando è pronta e ti dice “andiamo?”, oppure il distacco – come fai a descriverlo il distacco, qualsiasi forma di distacco? -, una volta ci ho provato ma è stato inutile, oltre che penoso. E allora immagino una pagina bianca, una pagina bianca insieme a centinaia di altre pagine bianche e poi gli occhi di lei quando rientriamo la sera e buttiamo giù l’ultimo goccio prima di fare l’amore.

È l’odore del whisky che tiene uniti i corpi e con i corpi siamo uniti anche noi, nonostante l’idea non sia quella di esserlo, uniti, ma soltanto quella di far l’amore per poi tornare a bere di nuovo, lì, affacciati alla finestra, col silenzio che stringe la gola e le mani che a stento riescono a sfiorarsi.

È un incrocio di destini anche il più banale degli incontri amorosi, e un incrocio di destini siamo anche noi, lo siamo anche adesso che mi viene difficile descrivere il momento: una bottiglia di J&B posata sul tavolo, a perfetta distanza tra me e te, Roma che si affaccia dalla finestra, più stanca del solito stasera.

 

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(Racconti) brevi brevissimi, Finzioni

Vuoi giocare con me?

Eccola che si avvicina. Un passo avanti, due indietro, un altro ancora avanti. Poi dice, non dice niente. Lo fa sempre. Fa per dire e non dice, muove il labbro inferiore e poi non dice nulla. Si morde le labbra adesso. Sbuffa. Si schiarisce la voce. Sbuffa di nuovo. Chiede d’accendere. Accende. Aspira. Butta fuori il fumo della sua Marlboro. Allora, – mi fa – si comincia. Sì, comincia – le dico io. Mettiti lì. Sì. Più a sinistra, un altro po’. Ok va bene. Fuma, – le dico – e guarda in camera. Fissa, in camera. Lei guarda in camera, aspira dalla sigaretta, butta fuori il fumo. Poi arriccia il naso. Cosa dico? – dice. Di’ quello che ti passa per la testa. Niente, non mi passa niente. E allora non dire niente. Guarda in camera, e fuma. E non fare altro. Lei guarda in camera. Sei invecchiato, dice. Sbuffa ancora. Una zoomata, – i suoi occhi in primo piano, poi le labbra, solo le labbra, mentre lei parla. Allora? Sei invecchiato. E passa una mano tra i capelli. Com’è? ‘sti capelli bianchi? Cazzo, – dico io – Moira. Moira, ascolta, non devi fare domande. O parli e fumi. O stai zitta e fumi.  E guardi in camera, in entrambi i casi. Ok? Niente domande. Chiaro? Uff, – fa lei – ma così due palle! Riprendiamo? Ok, dai riprendiamo. Rientra da là, di nuovo. Accendine un’altra. Tiè, l’accendino. Torna alla porta. Accende la Marlboro. Guarda in camera. Spegne la cicca in terra col suo tacco-12. Adesso mi spoglio, dice. Cosa tolgo prima? Allora? Questo? Va bene questo? Sfila la canotta rosa che ha indosso. La sfila con un movimento lento delle spalle, e delle braccia magre. Sembra una ballerina adesso. Poi si piega, fa per togliere una scarpa, poi cambia idea. Le pieghe sulla longuette nera sembrano onde in miniatura, le cosce avvolte dalla gonna un oceano nero. Prende un’altra sigaretta. La tiene in bocca, ballonzola su e giù mentre lei dice: oggi piove. Lo dice piano: og-gi-pio-ve. Poi prende la sigaretta e la tiene in mano. Lo smalto nero delle unghie. Gli occhi verdi. La finestra. Si avvicina alla finestra. Oggi piove, ripete. Accende la sigaretta e poi torna a guardare in camera.  Sfila la longuette lasciandola scivolare lungo i fianchi. L’addome chiaro macchiato da venature violacee. I fianchi perlacei. Le mutandine di pizzo nero, volgari quel tanto che basta. Vuoi giocare con me? – dice.

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Borderline, Finzioni

non rimarrà più niente

non rimarrà più niente; né la stazione né il paese, né le voci di chi si è amato o di chi si è tradito, rimarremo solo noi con noi stessi e poi nient’altro: forse un coro d’archi, una coda strumentale sul finire di un pomeriggio autunnale e poi nient’altro, né la fatica né la speranza, soltanto una manciata di immagini da portare dietro come si fa con i rimpianti: una donna su un treno in partenza, un uomo sull’orlo di un precipizio, un libro e una nota scritta sulla pagina di un racconto mai iniziato

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Finzioni, Storie

Una giornata al mare

Se ne andarono a mare con gli altri. I ragazzi con le macchine. Lui e lei a seguire, sullo Zip nero di lei. All’Hotel Paradiso, come al solito, i ragazzi sistemarono le reti per le partite di beach volley. Loro sedettero al tavolino di un chioschetto, al riparo dal caldo torrido di quella domenica di giugno.

Lei fumava. Prendeva lunghe pause tra una boccata e l’altra, come se aspettasse che lui le dicesse qualcosa, o forse sperando che non le dicesse niente.

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(Racconti) brevi brevissimi, Finzioni

The End

Stop – vorrebbe dire. Un fermo immagine, come quando è sul set ed è lui a decidere se una scena è buona.

Vorrebbe tenersi lei, il Cupolone alle sue spalle, e anche Micio che affila le unghie e digrigna i denti. Si terrebbe anche il Tevere, sporco come gli appare adesso sotto il sole tiepido dell’imbrunire, senza nemmeno un briciolo di poesia.

Buona! – vorrebbe urlare e per un attimo gli sembra quasi di dirlo, un attimo solo, il tempo che lei dica: Che potevo aspettarmi da te.

– Lasciami spiegare – dice lui e il Tevere scorre lento al suo fianco – cicche ferri vecchi e stracci lerci –  e  lui pensa: datemi una camera, nient’altro.

– Nient’altro, – dice lei – da te non voglio nient’altro – e mentre lo dice le sue mani si muovono rapide come uccellini in volo, inafferrabili, e lui ci prova ad afferrarle ma lei lo strattona, gli sfugge via mentre Micio graffia la mano di lui nel tentativo di raggiungere il corpo di lei.

L’ultimo sguardo di lei, dal finestrino dell’ottanta-barrato: la fine.

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